Disturbo da stress post-traumatico (PTSD)

Il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è una patologia che si sviluppa in persone che hanno subìto o hanno assistito a un evento traumatico, catastrofico o violento, oppure che sono venute a conoscenza di un’esperienza traumatica accaduta a una persona cara. A tutti noi può capitare di vivere esperienze spaventose e che percepiamo come “al di fuori del nostro controllo”, come essere coinvolti in un incidente stradale o subire un’aggressione. Alcune figure professionali quali il personale sanitario, membri delle forze dell’ordine o vigili del fuoco – hanno maggiori probabilità di essere esposti a episodi o dettagli particolarmente violenti e sconvolgenti. La maggior parte delle persone riesce a superare lo shock iniziale senza necessità di supporto aggiuntivo; se però la sofferenza si prolunga per oltre un mese dall’esposizione al trauma e interferisce significativamente con la vita lavorativa, sociale o scolastica dell’individuo, è importante valutare se si è sotto gli effetti del PTSD.

Sintomatologia del PTSD

Per fare diagnosi di PTSD si valuta la presenza dei seguenti criteri:

Criterio A – Esposizione a un evento traumatico

Esposizione a evento traumatico come a morte o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale. Come già accennato qui sopra, l’esposizione può avvenire in diversi modi:

  1. Fare esperienza diretta, cioè la vittima vive il trauma in prima persona;
  2. Assistere a un evento traumatico accaduto ad altri;
  3. Venire a conoscenza di un evento traumatico accaduto a una persona con cui si ha una relazione intima, ad esempio un componente della propria famiglia o un amico stretto, e in particolare ai caregiver primari nel caso dei bambini. La morte o la minaccia di morte deve essere stata violenta o accidentale;
  4. Estrema e ripetuta esposizione a dettagli crudi dell’evento (ad esempio, nel caso dei primi soccorritori in seguito all’evento o di agenti di polizia durante le indagini), ma non tramite i media, ad eccezione che nei casi in cui anche ciò sia legato alla professione svolta.

Criterio B – Sintomi di risperimentazione

Analogamente a quanto osservato nel Disturbo Acuto da Stress, la vittima si ritrova a rivivere ripetutamente il momento del trauma. Ad esempio, ciò può avvenire sotto forma di flashback, cioè percezione di rivivere l’evento, fino alla completa perdita di consapevolezza dell’ambiente circostante. I flashback sono di solito accompagnati da intensa paura e reattività fisiologica (battito cardiaco accelerato, sudorazione, tensione muscolare e nausea). Alcuni particolari che ricordano il trauma possono scatenare un flashback in modo improvviso. Un’altra forma di risperimentazione del trauma avviene attraverso gli incubi, il cui contenuto spesso riguarda, in maniera più o meno esplicita, persone, situazioni, luoghi o particolari legati all’evento traumatico.

Criterio C – Sintomi di evitamento

Nel tentativo di evitare la risperimentazione del trauma, la vittima può cominciare a evitare situazioni esterne (attività, conversazioni, persone, ecc.) che ricordano, simboleggiano o sono in qualche modo associate all’evento traumatico. Con il tempo, questa strategia di coping diventa sempre più problematica, poiché la persona può finire per ritirarsi dalle interazioni sociali, smettere di frequentare i luoghi abituali, o cambiare significativamente le proprie abitudini per non incorrere in dettagli che possano scatenare sintomi disturbanti. L’evitamento può riguardare anche l’esperienza interna della persona: in maniera più o meno consapevole, la vittima può sopprimere ricordi spiacevoli o emozioni intense e negative, ad esempio facendo uso di alcool e droghe, gettandosi a capofitto nel lavoro, adottando comportamenti sessuali compulsivi e a rischio, giocando d’azzardo o infliggendosi dolore fisico mediante atti di autolesionismo. La strategia dell’evitamento può essere funzionale nel breve termine, ma alla lunga ostacola l’elaborazione delle esperienze traumatiche.

Criterio D – Sintomi di alterazione negativa dei pensieri e delle emozioni

L’evento traumatico viene vissuto da molte vittime come uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, tra la “salute” e la “malattia”. La persona può sviluppare convinzioni o aspettative negative su se stessa (“sono cattiva”, “sono responsabile di quanto mi è accaduto”), gli altri (“non ci si può fidare di nessuno”, “gli altri vogliono sfruttarmi o abusarmi”) o il mondo (“il mondo è un posto pericoloso”, “non c’è speranza per il futuro”). Anche la memoria può essere significativamente alterata, ad esempio la persona può non ricordare particolari anche estesi del trauma, un fenomeno noto come amnesia post-traumatica. Emozioni negative comunemente esperite includono colpa, vergogna, rabbia, paura e umore depresso. Per proteggersi dal dolore psicologico, la persona può cercare di distaccarsi dalle proprie emozioni, e può quindi risultare insensibile, disinteressata o estraniata rispetto agli altri, anche quando si tratta di persone care o di attività che precedentemente le procuravano gioia.

Criterio E – Sintomi di iperattivazione (arousal)

L’essere umano è evolutivamente programmato per combattere o fuggire da situazioni che sono pericolose in un determinato momento, ma quando il pericolo cessa la stessa cosa tipicamente accade per lo stato di attivazione (arousal) che ha reso possibile la risposta difensiva. Nel caso del PTSD questa modalità difensiva è costantemente attivata, risultando in uno stato fisiologico di iper-arousal che non si esaurisce naturalmente. La persona sviluppa una sorta di ipersensibilità ai potenziali segnali di pericolo, che la porta a essere costantemente in allerta, a rispondere in maniera esplosiva e rabbiosa anche in assenza di provocazione e a vivere in uno stato di ipervigilanza e tensione che va a interferire con la capacità di calmarsi o di addormentarsi. Questo profilo di sintomi deve essere persistente (durare più di un mese; Criterio F), creare sofferenza e interferire con il funzionamento della persona in aree importanti (Criterio G) e non essere attribuibile agli effetti di sostanze stupefacenti o a un’altra condizione medica (Criterio H).

Trattamento del PTSD

A oggi, gli interventi psicologici più efficaci per il trattamento del PTSD sono la Terapia Cognitivo Comportamentale focalizzata sul trauma (TF-CBT) e, soprattutto l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).

Questi due approcci sono supportati da prove scientifiche (evidence-based) e sono attualmente raccomandati nelle linee guida internazionali sul trattamento delle condizioni correlate allo stress (Organizzazione Mondiale della Sanità – WHO, 2013).

Anche la Mindfulness, e in particolar modo il programma Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR) e il Mindfulness Intervention for Child Abuse Survivors (MICAS) quale terapia psicologica incentrata sul momento presente ha un’efficacia comprovata nella riduzione dei sintomi post-traumatici.

I recenti sviluppi scientifici hanno portato allo sviluppo della terapia cognitiva per i bambini basata sulla Mindfulness (MBCT-C) che è una psicoterapia “di nuova generazione” per bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni.

La Mindfulness è l’abilità centrale anche in un altro approccio, la Dialectical Behavior Therapy (DBT) che viene utilizzata con diverse modalità di intervento. Quando si trattano persone con problemi correlati al trauma nella DBT, la Mindfulness viene utilizzata per facilitare interventi orientati all’esposizione.

In aggiunta, tra gli approcci emergenti per il trattamento del PTSD si annoverano la Terapia Sensomotoria e il Trauma Sensitive Yoga.

Infine, un’altra tipologia di trattamento si focalizza sull’aspetto dissociativo, poiché considera il PTSD il risultato di una dissociazione primaria della personalità; quest’approccio è detto terapia a più fasi o phase-oriented poiché si divide in una prima fase di stabilizzazione dei sintomi, una seconda focalizzata sulle memorie traumatiche e una terza di integrazione della personalità e lavoro sul funzionamento quotidiano, le relazioni e l’intimità. Allo stato attuale, la terapia a più fasi rappresenta il trattamento di elezione per il CPTSD.

Approfondimenti

Tipologie di Disturbo da stress post-traumatico

In alcuni casi, i sintomi del PTSD possono manifestarsi in forme particolari, di cui le più note sono:

  • PTSD con sottotipo dissociativo: oltre ai sintomi nucleari del disturbo, la persona riporta persistenti sintomi di dissociazione, come depersonalizzazione (sensazione di distacco dal proprio corpo e dai propri processi mentali, oppure di essere un osservatore esterno di se stesso) o derealizzazione (sensazione di distacco dall’ambiente circostante, che appare irreale, distorto o come in un sogno). Le persone possono dissociarsi per sfuggire “mentalmente” e sopravvivere all’esperienza del trauma mentre avviene (dissociazione peritraumatica), ma anche in seguito per proteggersi da emozioni e stati soverchianti.
  • PTSD a espressione ritardata: sebbene possano esserci dei segni precoci, i sintomi del disturbo si manifestano pienamente dopo oltre 6 mesi dall’esposizione all’evento traumatico. L’intero quadro sintomatologico può addirittura comparire dopo diversi anni dall’evento, come nei casi degli adulti che sviluppano il PTSD a molti anni dagli abusi infantili.
  • PTSD nei bambini: anche i bambini possono sviluppare il PTSD, ma alcuni dei sintomi caratteristici variano rispetto alle presentazioni adulte. Ad esempio, elementi del trauma possono non essere rivissuti direttamente, ma rimessi in atto attraverso il gioco, mentre il contenuto traumatico dei sogni può non essere immediatamente riconoscibile. I sintomi di iperattivazione si evidenziano in particolare in problemi di condotta, attenzione e concentrazione in ambiente scolastico.
  • PTSD complesso (C-PTSD): questa forma si manifesta tipicamente in seguito a traumi precoci, di natura interpersonale (ad esempio, abuso fisico, sessuale o psicologico ad opera di una figura di accudimento) e di tipo cronico (come maltrattamenti ripetuti, violenze cumulative o grave trascuratezza). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2018) non considera il C-PTSD come un sottotipo del PTSD, ma come un disturbo indipendente inserito nell’undicesima edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11).

Altri disturbi e problemi associati al PTSD

Il trauma può avere un impatto talmente destabilizzante da far sì che raramente i sintomi del PTSD si presentino in maniera isolata. Secondo l’American Psychiatric Association (APA, 2013), l’80% degli individui con PTSD può avere anche altri disturbi o problemi di salute mentale, come ansia, depressione, disturbi del comportamento alimentare, problemi di sonno, somatizzazione, abuso di sostanze e altre dipendenze comportamentali. Inoltre, è frequente l’associazione con il Disturbo Dissociativo dell’ Identità (DID) e con i Disturbi di Personalità, in particolare con il Disturbo Borderline di Personalità (DBP), con il Disturbo Evitante di Personalità (DEP) e il Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP). Altre difficoltà comunemente associate possono riguardare la sessualità, il controllo degli impulsi, l’autolesionismo, i pensieri e i comportamenti suicidari, o possono manifestarsi a livello corporeo sotto forma di dolore cronico o sintomi fisici senza una causa medica identificabile.

Studi e dati statistici PTSD

I tassi di prevalenza del PTSD variano notevolmente a seconda degli studi. Negli Stati Uniti, il DSM riporta che il disturbo colpisce il 5% degli uomini e il 10% delle donne e può manifestarsi a qualunque età, sebbene i bambini e gli anziani siano più vulnerabili (APA, 2013). Nella popolazione generale, i bambini presentano un tasso di prevalenza del PTSD pari al 16,6% (Costello et al., 2002). Di contro, uno studio del 2008 effettuato in Europa ha rilevato una percentuale del 1,1% di PTSD negli adulti (Darves-Bornoz et al., 2008). Le percentuali sono più elevate nelle popolazioni fortemente esposte a situazioni ripetutamente traumatiche, come persone che vivono in zone di guerra, in cui le stime variano tra il 10% e il 40% (ad esempio, Atwoli, Stein et al., 2015). O ancora, il PTSD ha un’elevata prevalenza negli adulti sopravvissuti ad abuso fisico e sessuale durante l’infanzia con percentuali che variano dal 37% al 44% (Rosner et al., 2014). Questi dati risultano particolarmente allarmanti se si considera che, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 7-36% delle bambine e il 3-29% dei bambini sarebbe stato soggetto a una violenza sessuale.

I risultati dell’European Study of the Epidemiology of Mental Disorders (ESEMeD), uno studio condotto su iniziativa dell’OMS in diversi paesi europei, tra cui l’Italia, hanno mostrato che più della metà della popolazione italiana (56,1%) è stata esposta ad almeno un evento traumatico, con un rischio di sviluppare un PTSD che va dal 12,2% per gli eventi legati alla guerra allo 0,8% per la violenza sessuale (Carmassi, Dell’Osso et al., 2014 per le analisi del campione italiano). Va notato che, mentre i tassi di esposizione e rischio di PTSD per eventi come incidenti e perdite personali fossero in linea con gli equivalenti europei, quelli relativi alla violenza sessuale risultavano pari a quasi la metà rispetto al resto del campione ESEMeD. Questo dato va interpretato con cautela, poiché potrebbe riflettere una sottostima del fenomeno sul territorio italiano. In Italia dati ISTAT (2015) rivelano che la maggior parte delle donne abusate in famiglia e/o dal proprio partner incontri significative difficoltà nel denunciare e nel chiedere aiuto.

Il PTSD si sviluppa come conseguenza di uno o più eventi traumatici fisici o psicologici. Alcuni esempi degli accadimenti che possono determinare lo sviluppo di un PTSD sono:

  • esposizione a disastri naturali come terremoti, incendi, alluvioni, uragani, tsunami;
  • guerra, tortura, minacce di morte;
  • incidenti automobilistici, rapina, disastri aerei;
  • malattie a prognosi infauste;
  • lutto complicato o traumatico;
  • svolgere un lavoro che aumenta il rischio di esposizione a eventi traumatici;
  • maltrattamento e/o trascuratezza nell’infanzia (C-PTSD);
  • abuso fisico e sessuale nell’infanzia (C-PTSD);
  • bullismo;
  • aggressioni, vittimizzazioni e discriminazioni basate sul genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’etnia o la religione;
  • violenza politica e comunitaria.

La gravità del trauma e la minaccia percepita giocano un ruolo significativo nello sviluppo di un PTSD: maggiore è l’entità del trauma e della minaccia percepita, maggiore è la possibilità di sviluppare un PTSD (APA, 2013). In generale, si parla di fattori di rischio per indicare gli elementi e le caratteristiche che, interagendo tra loro, aumentano la probabilità che un disturbo compaia e si stabilizzi. Nello studio delle cause del PTSD, i fattori di rischio vengono spesso divisi in fattori pre-traumatici, cioè preesistenti all’evento traumatico, aspetti del trauma, ossia caratteristiche del trauma in sé e per sé o della risposta immediata, e fattori post-traumatici, vale a dire che hanno a che fare con la condizione della persona e/o del suo ambiente in seguito al trauma. Alcuni esempi includono:

Disturbo post traumatico da stress
Patrizia Savastano – MioDottore.it
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