Vergogna

Le emozioni primarie sono emozioni innate e universali, cioè sono riscontrabili in qualsiasi popolazione, le emozioni secondarie, invece, devono essere apprese e si sviluppano con la crescita dell’individuo e con l’interazione sociale; la vergogna è una di queste. La vergogna è spesso definita l’emozione dell’autoconsapevolezza e nasce in seguito all’auto-valutazione di un fallimento personale rispetto a uno standard desiderato in accordo a regole, scopi o modelli di comportamento condivisi.

Vergogna quindi è intimamente legata alla competenza sociale, in altre parole è connessa alla valutazione e alla comprensione degli standard culturali a cui la persona cerca di aderire. Tale sentimento nasce quando l’individuo devia rispetto alla norma sociale, percependo quel senso di fallimento tipico di quest’emozione. La vergogna quindi nasce dalla valutazione della propria inadeguatezza: l’individuo mette in discussione il ‘come sono’, questo fa sì che ci siano pochissime possibilità di porre rimedio a quello che si considera l’errore. La difficoltà principale infatti risiede nel fatto che la vergogna è il frutto di uno stato interno del sé e non il prodotto di un conflitto esterno, cosicchè essa va a minare l’integrità del sé e delle proprie capacità.

Si possono distinguere molti tipi di vergogna:
– del fare, in cui l’oggetto è l’agito e per questo è molto meno invasiva;
– dell’essere, molto più profonda e dolorosa, riguarda l’essenza della persona, la sua identità;
– da svelamento o smascheramento, in cui la persona si trova ad affrontare una situazione contro la sua volontà;
– per le lodi, che si assume non siano meritate;
– ricorsiva, legata al circolo vizioso della vergogna stessa, quando ci si vergogna di vergognarsi;
– transitiva, quando per colpa del proprio comportamento si genera vergogna in un’altra persona;
– transpersonale, quando ci si vergogna della propria famiglia, istituzione, nazione, o nel gruppo nel quale ci si identifica;
– contagiosa, quando ci si vergogna di fronte all’improvviso vergognarsi di qualcuno.

In situazioni di vergogna il primo comportamento attuabile è distogliere lo sguardo dall’altro, poi ripiegare la postura, voltare il viso, che in genere potrebbe arrossire, ci si nasconde poiché si vorrebbe diventare invisibili. Tutti questi atteggiamenti confermano di non essere riusciti a raggiungere determinati standard di prestazione, o anche norme e valori, ritenuti indispensabili per avere una buona considerazione di se stessi.
Verso tale emozione si reagisce in un duplice modo: arrabbiandosi o isolandosi. L’emozione, dunque, che ne deriva dipenderà dal tipo di carattere della persona e dalla cultura di provenienza da cui derivano determinate regole o norme.
Alcuni al cospetto della vergogna tendono a far finta di nulla o provano imbarazzo, altri invece affrontano la situazione fornendo supporto alla persona in difficoltà, rassicurandola, mentre altri ancora reagiscono con lo scherno o il riso.

L’origine della vergogna

Nel corso del secondo anno di vita del bambino compaiono le cosiddette emozioni sociali, definite anche autocoscienti e valutative (Berti e Bombi, 2005). La vergogna compare generalmente dopo il secondo anno di vita, più tardivamente rispetto alle emozioni cosiddette di base, poiché è necessario lo sviluppo del sé personale dal momento che questo stato emozionale implica necessariamente la percezione di un giudizio dell’altro, perciò il bambino deve essere arrivato ad una maturazione tale per cui possa essere in grado di effettuare una scissione tra se stesso e l’altro, per questo motivo è definita come un’emozione sociale. Tale emozione ha a che fare, quindi, con l’immagine di sé e soprattutto con la autoconsapevolezza.

Le emozioni sociali non sono emozioni auto-riferite, non vanno, cioè, a toccare esclusivamente la consapevolezza di sé e non è in discussione unicamente la valutazione di se stessi nei confronti degli altri e da parte degli altri. Si potrebbe asserire che ci si vergogna di vergognarsi e ci si vergogna di aver fatto vergognare qualcuno.

Il sé si forma attraverso le esperienze intersoggettive, la vergogna ha, perciò, il compito fondamentale di organizzarlo e conservarlo. Quest’emozione, così importante per la conservazione dell’integrità personale, può fungere anche come regolatore di buona distanza nella relazione anche in senso fisico, infatti, un certo grado di imbarazzo regola lo spazio privato e fungono da segnale quando l’altro è avvertito come intruso.

L’atteggiamento educativo che gli adulti hanno nei confronti dei bambini è determinante nella modulazione dell’emozione di vergogna: infatti, i genitori o gli insegnanti che esprimono dei giudizi globali sui propri figli o alunni li avviano ad un’analisi di sé globale, per cui di fronte a qualcosa di sbagliato che essi fanno tenderanno a valutarsi “in toto” come persone incapaci, cioè non sarà il solo comportamento ad essere valutato come inadeguato ma l’intera persona. Chiaramente la vergogna provata è maggiore laddove i bambini sono continuamente umiliati, disprezzati o su cui i genitori fanno pendere la minaccia di non volergli più bene.

Approfondimento

I costrutti alla base della vergogna

Nel costrutto della vergogna c’è la credenza di essere una persona non degna di stima. L’essere umano, quindi, valuta se stesso in termini negativi e diviene estremamente attento ai segnali degli altri che possono convalidare questa idea. Ogni individuo ha una teoria relativa ad un proprio sé ideale. In pratica, ha un’opinione riguardo alle caratteristiche che contraddistinguono quella che reputa la persona giusta, a cui vorrebbe somigliare. Tale costruzione è figlia di tutti gli apprendimenti che il singolo ha compiuto nel corso della sua storia. Nel momento in cui questo sè ideale si discosta dal sè reale, la persona prova vergogna per non essere, agli occhi di se stessa prima e degli altri poi, quello che vorrebbe o dovrebbe essere (Castelfranchi, 2005).

Si prova vergogna, allora, non solo per quello che si è, ma anche per quello che si fa e per tutte le cose che caratterizzano la propria vita.
In questo modo tale emozione diventa un’emozione che permea l’intero vissuto dell’individuo e può essere assimilata, nella sua intensità, ad un qualcosa di totalizzante e paralizzante, che invade completamente la mente.

La persona vorrebbe fortemente apparire agli occhi degli altri per quello che non è. In taluni casi arriva a mistificare con se stessa e con l’alterità, costruendo un’ immagine di sé che non corrisponde a quella reale. Ciò determina la nascita di uno stato di ansia continuo, in quanto, in qualsiasi momento, si può essere smascherati e questo implementa la vergogna di base.

Vergogna VS pudore

La vergogna non va confusa con il pudore, che nasce dalla volontà di non volersi mostrare allo sguardo altrui. Il pudore è una forma di protezione psicologica atta a difendere lo spazio personale, verso il quale non necessariamente si provano sensi di inadeguatezza.
Chi ha pudore non sempre ha vergogna nel mostrarsi, ma semplicemente è una persona che non ama mostrarsi, esibirsi davanti ad altri.

Vergogna VS imbarazzo

La vergogna può presentarsi anche in assenza di un contesto sociale, cioè può coinvolgere a lungo l’individuo anche quando è solo, per questo si differenzia dall’imbarazzo che si sperimenta invece esclusivamente in presenza degli altri. Allo stesso modo la vergogna nasce in seguito alla auto valutazione di inadeguatezza rispetto a standard di condotta ai quali si aderisce personalmente, mentre l’imbarazzo ha più a che fare con il sentire di avere contraddetto regole sociali che possono anche non essere condivise dal soggetto.

Castefranchi (1990) distingue tra vergogna e imbarazzo: la prima può riferirsi non solo ai difetti morali ma anche a semplice goffaggine. Potrebbe essere vista secondo Castelfranchi come una sorta di rammarico (l’emozione sentita quando l’individuo è stato sventato in uno dei suoi obiettivi) oppure potrebbe essere una sorta di paura (l’emozione sentita come quando può accadere la vanificazione di un qualche obiettivo, ad esempio, l’obiettivo di stima). In altre parole, ci vergogniamo quando abbiamo un rimpianto o temiamo di perdere la faccia davanti agli altri o a noi stessi. In questo senso, la funzione della vergogna è quella di proteggere i nostri obiettivi di stima (essere valutati positivamente dagli altri) e autostima (essere valutati positivamente da noi stessi).

L’imbarazzo invece rimanda a una qualche mancanza dell’individuo. Ad esempio una persona può essere imbarazzata quando ha due o più alternative e non sa quali scegliere tra loro. Il tutto si complica se tra le alternative a disposizione ve ne sono alcune orientate su di sé e altre orientate sull’altro. Questo conflitto potrebbe essere la radice dell’imbarazzo.

Vergogna VS senso di colpa

Accade spesso che la vergogna venga confusa con il senso di colpa, in realtà le due componenti emozionali presentano molteplici differenze. Il senso di colpa segue la trasgressione e attiva l’angoscia della punizione, mentre la vergogna è accompagnata dalla percezione di un fallimento totale o parziale della propria dignità e dalla sensazione del pericolo dell’abbandono affettivo, questo avviene perché si manifesta la percezione di essere divenute delle persone spregevoli. Con il senso di colpa la persona mette in discussione il ‘cosa ho fatto’, infatti, questo stato affettivo vede come elemento fondamentale la possibilità della riparazione, attuata conseguentemente a ciò che è accaduto in precedenza; data questa spinta all’azione è possibile considerare il senso di colpa come un’emozione primitiva. Con la vergogna, invece, l’individuo mette in discussione il ‘come sono’, questo fa sì che si abbiano pochissime possibilità di porre rimedio a ciò che è accaduto.

Entrambi questi stati affettivi promuovono un tipo di comportamento cosiddetto morale e tentano di inibire comportamenti trasgressivi; inoltre sono entrambe emozioni con una valenza negativa ed entrambe si presentano in risposta a quelle situazioni in cui la persona si trova a dovere affrontare un fallimento personale o una trasgressione, verificatesi generalmente in un contesto interpersonale.

Nonostante queste somiglianze sono due emozioni profondamente diverse.
Una condizione tipica di vergogna vede la persona concentrarsi principalmente sulla condizione del sé personale, con la percezione dolorosa di un sé negativo. Si insinua, così, la sensazione di sentirsi una persona incompetente e cattiva, accompagnata da un senso di restringimento, quasi a sentirsi più piccoli, inutili e deboli. Un elemento molto interessante che riguarda la vergogna riguarda la presenza o meno di altre persone, infatti, si è visto che affinché si manifesti tale emozione non è necessario che la situazione coinvolga osservatori esterni, questo accade perché il soggetto si trova a raffigurarsi mentalmente un pubblico immaginario, e grazie alla finta presenza di altre persone il sentimento di vergogna si genera ugualmente, anche in circostanze di solitudine.

Di contro una tipica situazione di senso di colpa è meno dolorosa e penosa del sentimento di vergogna, quest’emozione riguarda generalmente qualcosa che va oltre il proprio sé, si può affermare, infatti, che il sentimento di colpa riguardi la valutazione negativa di uno specifico comportamento verso un’altra persona, perciò il proprio sé non viene incluso nella sofferenza emotiva del soggetto; ciò non avviene quando nel soggetto si vengono a creare sentimenti di vergogna. Il senso di colpa genera soprattutto situazioni di rimorso e rimpianto in riferimento al comportamento precedentemente messo in atto, con un conseguente stato di tensione.

Vergogna, rabbia e aggressività

In più studi è emerso che chi prova vergogna mostra anche livelli più alti di aggressività. Tale emozione si configura infatti come un’esperienza emozionale di dolore acuto, il quale da solo può generare rabbia, la quale a sua volta è possibile che muti in comportamenti connotati di aggressività. Gli studi che hanno maggiormente sostenuto empiricamente il collegamento tra la vergogna e la rabbia sono quelli effettuati da Averill (1982), Wicker, Payne e Morgan (1983), e dalla Tangney (1990). Negli studi di Averill le descrizioni dei soggetti riferite alle proprie esperienze di rabbia erano imputate principalmente a un sentimento di rabbia, il quale derivava dalla percezione della perdita della propria autostima. Nello studio di Wicker i punteggi dei partecipanti sulle esperienze di vergogna mostravano che non era presente solo il desiderio di nascondersi, ma era presente anche un altro aspetto del disagio provato, infatti, dallo studio è emerso che i soggetti sentivano il desiderio anche di punire gli altri, risultante dalla rabbia che si genera unitamente alla vergogna.

Infine June Price Tangney ha effettuato quattro studi, tra loro indipendenti, su soggetti adulti, riportando una consistente correlazione tra la propensione alla vergogna e il prendersela con qualcuno. Si può quindi dire che gli studi mostrano una correlazione positiva tra vergogna, rabbia e aggressività (per quanto riguarda invece il senso di colpa la correlazione con rabbia e aggressività è inversa).

Come hanno suggerito anche Lewis (1971) e Miller (1985), le persone in preda alla vergogna possono ricevere una forte motivazione a reagire proveniente dalla spinta tipica del sentimento di rabbia, infatti, questa può essere in grado di offrire sollievo dall’auto-condanna. Così, l’individuo dirige l’ostilità provata verso se stesso all’esterno e incolpa gli altri, risparmiando il proprio sé dalla condanna interiore.

Vergogna e esperienze traumatiche

La vergogna e l’odio verso se stessi sono costantemente esacerbate dalle credenze e dai significati che le vittime di violenza hanno attribuito e continuano ad attribuire alle esperienze di paura e umiliazione. Questa emozione fin da subito mostra il suo paradosso: parlare di vergogna tende ad accrescerla, non parlarne lascia sole le parti infantili che vivono cronicamente imbarazzate. Esprimere empatia può attivare imbarazzo e suscitare senso di inferiorità, ma ristrutturare i successi e gli obiettivi raggiunti può innescare la vergogna di non sentirsi all’altezza o di non meritarli.
Sul piano fisiologico inoltre la vergogna produce un’immediata riduzione dell’arousal, che blocca l’azione e ha il ruolo fondamentale di ridurre il danno potenziale che potrebbe venire dall’eccessiva reattività ad emozioni intense. Ma cosa succede quando questa emozione viene espressa in contesti violenti, imprevedibili o abusanti?

Nel vissuto e nelle storie della maggior parte dei pazienti sopravvissuti a traumi e trascuratezze nell’infanzia, questa emozione non ha spesso prodotto l’effetto sociale desiderato: al contrario i significati offerti da caregiver abusanti o maltrattanti sono spesso stati critici “Sei uno stupido! Non vali niente! Non meriti niente! Sei un debole! Sei incapace! Sei disgustoso!” e seguiti da violenze fisiche. Tutti questi significati e reazioni alla vergogna producono per di più un effetto di rinforzo dell’emozione stessa, suscitando più inadeguatezza e più sottomissione, necessaria a fermare l’attacco. Questo circolo vizioso trasforma così nel tempo un’emozione sana della vittima in un’arma che l’aggressore riesce ad usare per mantenere il suo status e confermare il suo potere. Quello che invece succede tristemente nei bambini è che i significati negativi cui sono stati continuamente esposti, diventano credenze e idee di sé che non metteranno più in discussione, che saranno per loro semplicemente la verità. I belief legati alla vergogna continuano a vivere slegati dagli eventi che li hanno provocati. La persistenza dei pensieri di auto-biasimo creano dunque una barriera importante alla remissione completa dei sintomi o alla possibilità di condurre una vita soddisfacente.

Vergogna e psicopatologia

L’intensa sensibilità verso questa emozione può avere effetti disturbanti o patologici sullo sviluppo della personalità. L’individuo, infatti, può mettere in atto nei riguardi dello stile di vita relazionale delle modifiche, che possono tendere a una limitazione della libertà di azione, dovuta al timore di dover fare i conti con questa condizione emotiva sgradevole. È quanto accade, ad esempio, nell’individuo affetto da fobia sociale, che elabora in senso negativo la costruzione del suo sé sociale. Il fobico sociale, infatti, è animato da un grande desiderio di dare una buona impressione di sé, unitamente all’insicurezza ed all’incertezza della sua riuscita. Appare, quindi, indubitabile che nello sviluppo e nel mantenimento della fobia è centrale la paura del giudizio dell’altro.

In pazienti proni a vergogna e ansia sociale si è strutturata la rappresentazione di un sé vulnerabile, debole, inferiore, sottomesso, privo di potere e indesiderato a fronte di un altro percepito come dominante, ostile, che può ferire, rifiutare o perseguitare. Le memorie autobiografiche di vergogna contribuiscono a gettare le basi sulle quali si radica un costante senso di minaccia, nutrito dall’alterazione della capacità di comprendere la mente degli altri in modi che permetta di tenere in disparte le attribuzioni automatiche agli altri di intenzioni ostili.

Secondo Salvatore et al. (2012) il senso basico di vulnerabilità e le significative difficoltà di comprendere la mente dell’altro comportano un iperfunzionamento del threat/self protection system e impediscono l’accesso a sentimenti di sicurezza, elevando la vulnerabilità ai sintomi paranoidi. Inoltre sembra che quanto più le memorie siano traumatiche e centrali per l’identità e la storia di vita, più alta sia l’associazione con la dimensione della paranoia. La caratteristica traumatica e la centralità delle memorie sembrano essere fattori predittivi della paranoia, ma non dell’ansia sociale.

La vergogna è uno stato emotivo che caratterizza anche alcuni disturbi di personalità, questo sentimento è presente tipicamente nel disturbo evitante di personalità, e in maniera marcata anche nelle persone affette da disturbo borderline di personalità. Spesso la vergogna è il sentimento che contraddistingue uno schema di pensiero dominato da inadeguatezza.

Le persone che sperimentano nel profondo della propria interiorità la sensazione di avere qualcosa che non va, di non essere sufficientemente adeguati o degni di essere amati, vivono con profondo dolore il rapporto con gli altri, manifestando spesso un atteggiamento di insicurezza, o al contrario compensandolo con una falsa sicurezza. Questo è un sentimento di vergogna profondo e diffuso, difficile da rivelare agli altri, e a volte negato anche a se stessi. Questi sentimenti dolorosi hanno come conseguenza l’orientarsi verso stili di vita caratterizzati dal distacco dagli altri.

Individui con memorie autobiografiche centrali legate alla vergogna presentano un maggior numero di sintomi depressivi, così come un ruolo altrettanto significativo e indipendente rivestono la frequenza e la natura delle esperienze di vergogna vissute con i caregivers.
Emerge, inoltre, una maggiore tendenza a controllare o evitare emozioni, sensazioni, pensieri, sia da parte dei soggetti che percepiscono le esperienze di vergogna come fondamentali per la propria identità e storia di vita, sia da parte di coloro che ricordano un maggior numero di esperienze di vergogna e sottomissione legate a critiche e altri comportamenti problematici dei caregivers.

Il tentativo di evitare le esperienze interne dimostra un ruolo chiave nel determinare l’impatto delle memorie di vergogna e della loro centralità sulla psicopatologia. Ricorrere in modo pervasivo all’evitamento di situazioni che possono evocare vergogna è emerso come un importante mediatore tra memorie di tale emozione e sintomi. I risultati degli studi (Carvalho et al., 2013) dimostrano che l’evitamento media sia l’impatto delle esperienze di vergogna vissute con i caregivers sui sintomi depressivi, sia l’associazione tra la centralità delle memorie di vergogna e lo sviluppo di sintomi depressivi.

La vergogna è un’ emozione molto presente anche nei DCA (disturbi del comportamento alimentare). La letteratura sulle emozioni nei DCA è ampia ed è possibile parlare di “circoli emotivi” di mantenimento della sintomatologia. Da una ricerca di Skarderud (2007), attuata con un’ intervista semistrutturata che indaga il costrutto di vergogna nell’Anoressia Nervosa (AN), è emersa una classificazione delle tipologie di vergogna esperite da soggetti anoressici. Questa emozione è sia “vissuta” come interna (auto-valutazione negativa) che come esterna (sensazione che gli altri li giudichino negativamente). Nell’AN i soggetti sospendono volontariamente e forzatamente l’alimentazione, in linea con un comportamento controllante e rigido più che punitivo. Essi spostano sul corpo l’espressione di un disagio psicologico legato alla propria valutazione personale: si sentono sbagliati, inamabili, inadeguati (emozione di vergogna) ma non provano colpa, rispetto al proprio comportamento patologico.

Infatti nei pazienti emergono anche degli indici elevati legati al sentimento di orgoglio, che è uno stato emotivo opposto alla vergogna (Skarderud, 2007). La tenacia e l’orgoglio verso il comportamento patologico avrebbero lo scopo di compensare la propria inadeguatezza; ma i soggetti con AN continuano a esperire le diverse tematiche di vergogna a causa dell’impossibilità di raggiungere il perfezionismo auspicato. Nel circolo “vergogna-vergogna” questa emozione, come causa dell’innesco di sintomi, è legata a: fattori svalutativi personali, gestione inadeguata delle emozioni, spostamento sul corpo delle emozioni negative. La vergogna come effetto è invece collegata a tutte le tematiche di vergogna sopracitate.

Nel circolo “vergogna-orgoglio” i sentimenti di vergogna iniziali sono i medesimi del circolo precedente ma la risposta da parte del soggetto ha lo scopo di garantire elevati livelli di orgoglio.
Rifacendosi allo studio di Hayaki et al., (2002) nella Bulimia Nervosa (BN) i soggetti esperiscono emozioni fortemente destabilizzanti di colpa, oltre che vergogna, legate al meccanismo patogeno “abbuffata- eliminazione”. Si può dire che in questi pazienti il circolo emotivo sia caratterizzato da sentimenti di “vergogna-colpa”.
La compulsività e la perdita di controllo nell’orgia bulimica alimenta emozioni negative. La colpa si manifesta come effetto del comportamento “abbuffata-eliminazione”, ma è anche un fattore eziologico poiché si riscontra nei pazienti con BN una vulnerabilità personale a sperimentare emozioni di colpa.

Colpa e vergogna possono inoltre spiegare la comorbilità esistente tra DCA e altre sindromi (Grabharn et al., 2006; Hayaki, et al., 2002): depressione, ansia e DCA sono i quadri più spesso associati all’emozione di vergogna globale interiorizzata. In presenza di comorbilità tra DCA e Fobia Sociale è possibile pensare che l’emozione di vergogna legata al corpo e al Sé sia associata al timore di essere osservati, giudicati negativamente e “scoperti” dagli altri. Il soggetto vive la vergogna rispetto al Sé negativo e teme di essere giudicato dall’esterno.

Nel caso di comorbiltà tra quadri depressivi e DCA è possibile pensare che il soggetto giudichi in modo assolutamente negativo il Sé e perda qualsiasi aspettativa e speranza. La vergogna si esperisce a causa di fattori interni costituzionali sentiti come negativi.

La comorbilità dei DCA con il Disturbo Borderline di Personalità e del Controllo degli Impulsi potrebbe essere spiegata dal circolo emotivo “vergogna/colpa-rabbia” presente nei soggetti Shame-Prone. Essi non sono consapevoli dell’emozione esperita e tendono a esternalizzarla per evitare il contatto con la negatività del Sé: all’emergere di elevati livelli di vergogna e colpa il soggetto reagisce con comportamenti rabbiosi e attribuendo la causa dell’emozione a eventi o persone esterne, con esiti catastrofici sulle relazioni interpersonali (Meneghini, 2008).

Nei pazienti obesi la vergogna a causa del sovrappeso aumenta la probabilità di evitare l’esercizio fisico e consumare più calorie per affrontare questo stress, a causa di una risposta fisiologica allo stress stesso, che induce un aumento dei livelli di infiammazione e di cortisolo che può degenerare appunto in comportamenti non salutari. L’internalizzazione dei pregiudizi riguardanti il peso si verifica quando le persone riferiscono a se stesse gli stereotipi negativi sul peso, come ad esempio ritenere di essere pigri o poco attraenti perché obesi, e si svalutano a causa del loro sovrappeso. In particolare i soggetti con elevati livelli di interiorizzazione hanno il triplo delle probabilità di avere una sindrome metabolica e sei volte più probabilità di avere alti livelli di trigliceridi rispetto ai partecipanti con bassi livelli di interiorizzazione.

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